studenti, di associare a una scelta di argomenti da trattare anche una metodologia in cui abbia un ruolo significativo la ‘discussione’ matematica, oltre ad alcune pratiche come il cooperative learning e il collaborative learning e quindi un approccio didattico costruttivista che superi il paradigma cognitivista delle cui difficoltà di applicazione nelle classi ho detto all’inizio di queste riflessioni.
Definendo il “laboratorio di matematica” nelle indicazioni del progetto m@t.abel si precisa che non č un luogo fisico diverso dalla classe, e uno dei promotori nel corso di una presentazione lo ha denominato “il laboratorio che non c’č” parafrasando James Barrie.
Wikipedia aggiunge che:
Non so se per mancanza o per eccesso di immaginazione, ma penso che il “laboratorio che non c’č” si possa realizzare con gli strumenti del Web 2.0.
Come assidua frequentatrice di pagine web e di gruppi di discussione da più di 12 anni sono stata molto prudente nell’associare alla didattica quello che nelle opinioni di colleghi e conoscenti era quasi un ‘vizio solitario’ alla mia attività di docente. Quattro o cinque anni fa comunicare con gli alunni per e-mail o chattare con messenger è stato visto quasi un’espressione di bizzarria, e del resto non tutti i genitori permettevano ai figli di avere una e-mail. Un poco più professionale, anche se faticoso, è stato guidarli a costruire siti di argomenti matematici con la giustificazione, pressoché necessaria, che insegno in un corso di Matematica dove è attuato il Piano Nazionale d’Informatica.
L’e-learning e le sue piattaforme proprietarie erano abbastanza elitarie ed era improbabile associarle alle attività didattiche con ragazzini per i quali il computer era, nei casi in cui lo praticassero, un videogioco il cui uso era controllato dalle famiglie preoccupate che togliesse troppo tempo allo studio o allo sport.
In pochi anni però le abitudini dei ragazzini sono