|
Unione paradossale di due termini antitetici.
La predicazione di un termine è contraria o contraddittoria rispetto
al senso dell'altro, ma entrambi stanno l'un l'altro in una qualche
funzione sintattica (ad esempio sono soggetto e predicato di una proposizione
o nome e attributo dello stesso).
La sua etimologia rimanda ad una parola greca che significa "acuta
follia".
La loro vita è morte d'immortali
/ E d'immortali vita il morire.
|
Eraclito nella traduzione di Ceronetti
|
Dio ragione che sragiona |
Giudici, Aspirazioni
|
Deformi formosità e formose difformità |
San Bernardo tradotto da Eco
|
Convergenze parallele |
Usato nel "politichese" della fine
del ventesimo secolo
|
Rerum concordia discors |
Quintiliano
|
Etiamsi taceant, satis dicunt |
Racine
|
L'ossimoro viene considerato da una consolidata tradizione culminante
in Lausberg una mala affectatio, ovvero sia una figura palese, ammessa
in un discorso solo in senso ironico al fine di stupire e creare meraviglia
nell'ascoltatore/lettore.
A proporre il funambolismo dev'essere l'eccellente e non il goffo. (Garavelli)
La figura in questa luce posta si allontana dalla chiarezza, o perspicuitas,
nell'espressione dei contenuti.
Viene vista altrimenti dalla scuola retorica francese, in quanto capace
di produrre "il senso più vero, perché più
profondo e incisivo": Qui l'ossimoro diviene Paradossismo.
Un'espressione paradossale richiede una complicità di chi ascolta,
che con un gioco di intelligenza deve cogliere la tensione prodotta.
L'effetto che viene a prodursi è di "straniamento",
passione sempre cercata dalla retorica, misto tra stupore ed ammirazione.
Anche il paradosso come la figura classica "poggia sulla testa
per attirare l'attenzione" (Faletta).
Perelmann collega il paradossismo alla tautologia apparente: "Gli
affari sono affari" sottomette alla logica di zio Paperone anche
tutto ciò che intuitivamente dovrebbe esserne estraneo. E' la
capacità di dissociazione del lettore/ascoltatore che permette
di comprenderlo.
L'ossimoro è una figura di pensiero, non si limita ad un effetto
sul piano dell'espressione, del significante, ma oppone due idee sul
piano del contenuto.
L'ossimoro è infatti traducibile da una lingua ad un'altra, mantenendo
significato simile.
Due termini opposti, appartenenti ad una classe semantica, vengono
detti antonimi.
"Bello" è in questo senso antonimo di "brutto"
(secondo estetica), come "uomo" lo è di "animale"
(per capacità di ragionare).
Gli enti significati da due termini non sono sempre opposti all'interno
di tutte le categorie binarie che li contengono.
Ad esempio scegliendo un punto di vista differente, "uomo"
e "animale" si oppongono entrambi a "dio" (in quanto
gli uni mortali e l'altro immortale), od a "pietra" (essendo
l'organico contrapposto all'inorganico).
L'ossimoro è allora una relazione tra due antonimi.
Antonimi ed antinomie russelliane sono apparentati, ma non coincidenti.
Quest'ultime sono proposizioni che davvero non riescono a riconciliarsi.
Il corto circuito semantico diviene loop ricorsivo senza uscita di un
pensiero.
Un' opposizione tra due termini può essere sintattica o semantica.
Due termini opposti sintatticamente sono detti contraddittori (un uomo
è bianco o è non-bianco); due termini opposti secondo
il significato che viene loro attribuito sono invece contrari ("piano"
rispetto a forte, ma anche rispetto a "veloce" o a "solido"
o a "collinoso" - che il pianoforte sia un nome nato da un
ossimoro?).
In verità è il medesimo termine che contraddice la sua
negazione, mentre due termini di un linguaggio naturale in relazione
tra loro possono essere solo contrari uno all'altro.
La contrarietà non è una relazione ugualmente "forte"
rispetto a quella di contraddizione. La relazione tra due termini diversi
correlati è sempre passabile di interpretazioni ulteriori nel
tempo.
Una coppia di termini contrari produrrà però un maggior
effetto sulla componente emozionale del destinatario. E' infatti più
interessante ed informativo ricevere indicazioni su una relazione tra
due parle distinte, che non vedere pedissequamente applicato ad un termine
un conosciuto schema sintattico.
|