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Digitallab ha intervistato Paolo Dell'Aquila (Dottore di ricerca in Sociologia e Politiche sociali) autore del libro: "TRIBÙ TELEMATICHE - Tecnosocialità ed associazioni virtuali" Guaraldi Editore. Per ulteriori informazioni sugli studi del dott. Dell'Aquila vi segnaliamo http://www.cittadigitali.it/comunitavirtuali/

buona lettura!

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D: Quali sono, a suo parere, le motivazioni che spingono una così ampia massa di individui a frequentare ed a partecipare attivamente a questi incontri 'virtuali'?

R: Le comunità virtuali svolgono prevalentemente tre funzioni. Le prime sono di carattere strumentale, ovvero indirizzate allo svolgimento di compiti specifici (reperimento di informazioni, elaborazione di progetti in rete, ecc.).

Le seconde sono invece di carattere espressivo: si declinano nella volontà di stare insieme, di sperimentare forme nuove di socialità grazie alla comunicazione mediata da computer.

Il terzo tipo di funzioni attiene alla sperimentazione dell'identità, manifestandosi nel desiderio di verificare fino a che punto si possono modificare i confini del proprio sé. Si elaborano così delle maschere sociali come nei giochi di ruolo per prepararsi ad esperienze che possono alienare fortemente i singoli rispetto alla vita reale.

Questi tre interessi rappresentano tutti dei forti motivi per incoraggiare l'adesione alle Tribù telematiche che ho descritto nel mio sito e nel mio volume.

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D: Cos'è la Comunità Virtuale e in che modo differisce dalla Comunità Reale?

R: Le comunità virtuali sono gruppi caratterizzati dalla comunicazione on-line, dalla condivisione di informazioni comunitarie e dallo sviluppo di dibattiti, indipendentemente dalle località geografiche in cui si trovano i partecipanti. Le tribù telematiche si distinguono perché promuovono degli "stili di esistenza" di cui si fanno portatrici. Gli aderenti partono da interessi comuni (colloquiare in una chat room, dialogare in un newsgroup o una mailing list), sviluppando delle norme e dei comportamenti specifici. Questi ultimi rappresentano degli elementi sempre in progress, continuamente negoziati, ma contribuiscono a definire un'atmosfera emotiva (ambiance) che genera un forte sentimento di appartenenza alla comunità.

Comunità virtuali e reali sono unite dal sentimento del "noi collettivo" che si sviluppa in entrambi i casi. Tutti i gruppi sono "comunità immaginate", fondate su un senso di autorappresentazione, di definizione di regole di convivenza sociale e di modelli di vita comuni. La comunità classica è fortemente radicata ad un contesto territoriale, come ho illustrato in un mio saggio; la tribù telematica nasce e si organizza nel cyberspazio ed ha i caratteri di una rete fluida, sempre in movimento. In entrambi i casi è necessario sviluppare dei mondi vitali condivisi e darsi una strutturazione atta ad impedire una veloce implosione.

Ho cercato pertanto di distinguere fra gruppi di tecnosocialità (come le chat line o i gruppi ludici) e le associazioni virtuali che sanno conferirsi norme proprie, svolgendo funzioni individuate e perseguendo fini comuni.

Un gruppo virtuale sopravvive grazie alla sua capacità di essere una teleorganizzazione, di dotarsi di una struttura con norme certe (a partire dalla netiquette), per raggiungere degli obiettivi che lo rendono più coeso, aumentando l'appartenenza dei singoli.

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D: Quali sono gli ingredienti fondamentali per strutturare e mantenere 'viva' una comunità virtuale?

R: Da un lato occorre sviluppare una selezione delle esperienze vissute: il gruppo deve darsi dei limiti nella comunicazione, focalizzandosi su argomenti specifici e imponendosi certe limiti nelle discussioni. Troppi flame possono condurre alla distruzione del gruppo o comunque ad un allontanamento dei partecipanti. Il primo passo è accordarsi consensualmente su cosa si vuole discutere e dotarsi degli adeguati strumenti. Sto pensando ad eventuali moderatori o alla costituzione di sottogruppi specializzati, che discutono di soluzioni tecniche per risolvere i problemi emergenti.

Sviluppato questo aspetto di teleorganizzazione, occorre però non dimenticare quello di mondo vitale, ovvero delle norme e dei costumi di gruppo che creano l'atmosfera emotiva, il clima comune. Tutto ciò si traduce nella condivisione di simboli (o "maschere") comuni, preparati tramite un duro lavoro di ricostruzione del sé collettivo.

Quando prevalgono gli aspetti ludici, ci troviamo di fronte ad una rete di tecnosocialità; nel caso opposto siamo in presenza di un'associazione virtuale che sa organizzarsi per fini collettivi (pensiamo alle mailing list, ai newsgroup, ecc.).

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D: La globalizzazione è al centro di numerosi dibattiti. In un mondo globalizzante i confini non hanno più ragione d'essere. In questo nuovo scenario, non crede che le comunità virtuali (forum..chat..mailing list..) rappresentino un'isola su cui approdare per poter coltivare interessi che nella realtà, per svariati motivi, non possiamo più fare?

R: Non si possono descrivere le comunità virtuali come isole completamente svincolate dai territori reali. Essi per certi versi possono generare questa impressione, perché molte comunità sono dei non luoghi (Augé), spazi di attraversamento dove è possibile una veloce entrata ed una altrettanto brusca fuoriuscita. Questo è un pericolo che io vedo soprattutto nelle forme di tecnosocialità, a confini fluidi ed instabili; meno nelle associazioni.

La globalizzazione ha portato anche a fenomeni di "glocalismo", ovvero di ritrovamento di vie locali per affrontare i problemi globali.

Nel nostro caso si può pensare ai gruppi legati alle reti civiche, che possono sviluppare aree di dibattito su questioni territoriali e favorire lo sviluppo della democrazia elettronica. Bisogna infatti valutare la necessità di elaborare delle vie locali alla società dell'informazione, che sappiano declinare in base allo spirito del luogo (al genius loci) le esigenze che provengono dalla società globalizzata, come hanno indicato gli studiosi del CEAQ di Parigi.

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D: Quali sono (se ci sono) i pericoli legati a questo nuovo modo di relazionarsi all'altro?

R: E' possibile che l'immersione nel mondo virtuale provochi fenomeni di alienazione in alcuni soggetti che vogliono sperimentare i confini della propria identità, estraniandosi dal mondo reale. Le forme di tecnosocialità sono per questo le più pericolose, proprio per il loro carattere fortemente coinvolgente, che porta i singoli a rappresentare il mondo come se fosse una narcisistica proiezione dell'io.

Nel caso delle associazioni il discorso può essere diverso; alcune di esse hanno costituito l'interfaccia fra reale e virtuale, fra gruppi e subculture off-line ed il cyberspazio. Nel caso dei gruppi dei community network, l'interazione fra virtuale e reale è ancora più preponderante e dimostra che il tempo vissuto in rete può ampliare i modi di rapportarsi agli altri, costruendo forme di comunicazione alternative che possono arricchire la personalità.

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D: Rispetto alla questione della democrazia di cui la rete sarebbe portatrice, cosa ne pensa?

R: I gruppi virtuali possono svolgere funzioni antitetiche. Da un lato nascondono il pericolo di creare gruppi instabili, liberamente fluttuanti alla ricerca di nuovi strumenti di intrattenimento puro e di socialità fini a se stessa.

Dall'altro lato, le associazioni virtuali possono provvedere alla socializzazione dei propri aderenti,  all'elaborazione di informazioni, alla proposizione di progetti politici, alla partecipazione al governo pubblico.

I gruppi strutturati sono quindi in grado di svolgere i ruoli già ricoperti dalle loro controparti "reali" (si pensi al terzo settore). Perché ciò possa accadere occorre dotarsi di alcuni strumenti tecnici e delle capacità progettuali atti ad utilizzarli al meglio.

Da un lato è necessaria un'organizzazione reticolare, con tanti piccoli gruppi "chiusi", dotati di competenze specifiche ed operanti in maniera trasversale (atti a proporre a tutti gli aderenti progetti ed azioni mirate). Occorre poi assicurare lo sviluppo di assemblee trasversali comuni, dove elaborare delle "liturgie" atte a cementare il senso di appartenenza degli aderenti.

Per questo può essere di aiuto sviluppare un ancoraggio ad un dato territorio (come accade nei community network). Ritengo, inoltre, probabile che le associazioni virtuali nel tempo funzionino come responsive community (Etzioni), coagulando gruppi che agiscono in base ad un ethos, a valori, norme ed abitudini culturalmente situate.  Essi possono essere o meno localizzati in un territorio geografico (o ideale), ma garantiscono quel grado di coesione sociale atto a rilanciare l'impegno etico e civile dei netizen. Brevemente, le associazioni virtuali costituiscono ponti con l'ambiente reale, favorendo la formazione di una nuova società civile. Il pensiero comunitarista ci può dare un'idea di come sperimentare vie "glocali" alla società dell'informazione, dove i gruppi dei community network, le associazioni on-line e quelle "reali" confluiscono dando origine ad una sfera pubblica molto segmentata.

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D: Un'ultima domanda. Riguarda la legge sull'editoria che prevede la registrazione dei siti d'informazione. Tale provvedimento ha scatenato forti critiche ma anche panico in Rete. C'è chi parla di censura, facendo forti riferimenti all'ideologia del regime fascista. Lei cosa pensa a tal proposito?

R: La legge attuale penalizza di fatto molti siti che vorrebbero dedicarsi alla controinformazione o che non possono dotarsi di una struttura professionale. Rischia quindi di finire col limitare la libertà di espressione e di informazione, che viene ribadita da molte fonti normative (tra cui la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo). Per questo il suo risultato ultimo può essere contrario al fine progettato, minacciando di introdurre nella rete una cultura del controllo che non riuscirà a reggere a lungo. 

 

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